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200 anni dalla nascita di Charles Dickens

Charles DickensScuola di Narrazioni Arturo Bandini di Nausika

Charles Dickens

IL CANTO DI NATALE

(versione italiana di Federico Batini)

PRIMA STROFA

Anzitutto Marley era morto.

Non c'è dubbio su questo. Nel registro mortuario le firme del prete, del chierico, del titolare delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il funerale. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva come oro.

Il vecchio Marley era proprio morto, quanto è morto, come si dice, un chiodo da porta.

Attenzione, però! non voglio mica lasciar intendere che io sappia bene che cosa ci sia di morto in un chiodo da porta. Per conto mio, sarei stato disposto a pensare che il pezzo più morto di tutta la ferragli fosse un chiodo da bara. Ma poiché la saggezza dei nostri nonni è evidente nelle similitudini, non le toccherò certo io, con mano sacrilega; altrimenti, il paese è già andato. Lasciatemi dunque ripetere, solennemente, che Marley era morto com'è morto un chiodo da porta.

Scrooge sapeva di questa morte? Certamente. Come avrebbe potuto non saperlo? Scrooge e il morto erano stati soci per non so quanti anni. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, unico amministratore, unico procuratore, unico legatario universale, unico amico, unico guidatore del corteo funebre. Anzi il nostro Scrooge, che per la verità non era così sconvolto dal triste evento, si mostrò sottile uomo d'affari il giorno stesso dei funerali e lo solennizzò con un affare con i fiocchi.

Il ricordo dei funerali mi fa tornare al punto di partenza. Non c'è dunque dubbio che Marley fosse morto. Questo diamolo per assodato, altrimenti non potrà uscire nulla di meraviglioso dalla storia che sto per raccontarvi. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre d'Amleto fosse morto prima che s'alzi il sipario, la sua passeggiatina notturna sopra i bastioni, esposto al vento di levante, non ci farebbe un effetto maggiore di quello di una passeggiata stravagante di un qualunque attempato galantuomo il quale se n'andasse di notte in un posto ventoso - il cimitero di San Paolo, poniamo – per il solo gusto di sbalordire il proprio figliuolo.

Scrooge non cancellò dall'insegna il nome del vecchio Marley. Parecchi anni dopo, si leggeva ancora, sulla porta del magazzino: "Scrooge e Marley". La ditta era nota come "Scrooge e Marley". Succedeva, a volte, che qualche inesperto degli affari chiamasse Scrooge ora con il nome di Scrooge e ora con quello di Marley; ma egli rispondeva a tutti e due. Per lui erano una cosa sola.

Oh! ma di che stretta erano capaci le mani benedette del nostro Scrooge! come artigliavano, spremevano, torcevano, scuoiavano, acciuffavano le mani del vecchio avaro peccatore! Aspro e tagliente come una pietra focaia, dalla quale nessun acciaio al mondo era mai riuscito a far schizzare una generosa scintilla; chiuso, sigillato, solitario come un'ostrica. Il freddo che aveva dentro gli gelava il viso decrepito, gli cincischiava il naso puntuto, gli increspava le guance, gli rinsecchiva il portamento, gli faceva gli occhi rossi e violacee le labbra sottili, gli usciva fuori con una voce acre che pareva di carta vetrata. Sul capo, nelle sopracciglia, sul mento asciutto gli biancheggiava una brina. La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio nei giorni di gran caldo; non lo scaldava di un grado a Natale.

Caldo e freddo non facevano alcun effetto sulla persona di Scrooge. L'estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava. Non c'era vento più aspro di lui, non c'era neve che cadesse più fitta, non c'era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L'acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di batterlo: più di una volta cadevano con larghezza: Scrooge no, mai.

Nessuno lo fermava mai per la strada per dirgli con aria allegra: "Come ti va, caro il mio Scrooge? quando venite a farci visita?" Nessun mendicante gli chiedeva l'elemosina, né un bambino gli domandava l'ora, nessun uomo o nessuna donna, una volta sola in tutta la loro vita, si erano rivolti a lui per chiedere informazioni su quella o quell'altra strada. Perfino i cani dei ciechi sembravano conoscerlo; scorgendolo da lontano subito si tiravano dietro il padrone in un cortile interno o in un vicolo. Poi scodinzolavano un pò, come a dire: "Povero padrone mio, è meglio non aver occhi che avere un occhio cattivo!"

Ma che gliene importava a Scrooge! Meglio anzi, ci provava gusto. Sgusciar via dai sentieri affollati della vita, invitando la brava gente di farsi in là, era per Scrooge come per un goloso sgranocchiar pasticcini.

Una volta - il più bel giorno dell'anno, la vigilia di Natale - il vecchio Scrooge se ne stava a sedere tutto affaccendato al suo banco. Il tempo era freddo, uggioso, tutto nebbia; e si sentiva la gente fuori andar in su e in giù, con il fiato grosso, strofinandosi forte le mani, battendo i piedi per terra per scaldarseli. Gli orologi del vicinato avevano battuto le tre, ma era già quasi notte, se davvero il giorno c'era stato. Dalle finestre dei negozi vicini si vedevano, rosse, le luci come tante macchie nell'aria grigia e spessa. Entrava la nebbia da ogni fessura, da ogni buco di serratura; era così densa fuori che, malgrado l'angustia del vicoletto, le case davanti sembravano fantasmi. Davvero, quella nuvola scura che scendeva sopra ogni cosa portava a pensare che la Natura, stabilitasi lì accanto, avesse dato avvio a una sua grande fabbrica di birra.

L'uscio del banco era aperto, per dare modo a Scrooge di tenere d'occhio il suo commesso, il quale, inserito in una celletta più in là, una specie di cisterna, era intento a copiar lettere. Scrooge non aveva per sé che un fuocherello; ma molto più misero era il fuocherello del commesso, che pareva fatto di un sol pezzo di carbone. Né c'era verso di aumentarlo, perché la cesta del carbone se la teneva Scrooge con sé; e quando per caso il commesso entrava con in mano la paletta, immediatamente il principale gli faceva capire che sarebbe stato costretto a dargli il benservito. Tuttavia lo scrivano si avvolgeva al collo il suo fazzoletto bianco e si ingegnava a scaldarsi con la fiamma della candela: il che, visto che non era uomo di fervida immaginazione, non gli riusciva né punto né poco.

- Buon Natale, zio! un allegro Natale! Dio vi benedica! - gridò una voce gioconda. Era la voce del nipote di Scrooge, piombato di fronte al banco così d'improvviso che lo zio non lo aveva sentito arrivare.

- Eh via! - rispose Scrooge - sciocchezze! -

S'era così ben scaldato, a forza di correre nella nebbia e nel gelo, questo nipote di Scrooge, che pareva avesse preso fuoco: aveva la faccia rubiconda e simpatica; gli brillavano gli occhi e il fiato gli fumava ancora.

- Come, zio, il Natale una sciocchezza! - esclamò il nipote di Scrooge. - Voi non lo pensate di certo.

- Altroché se lo penso! - ribatté Scrooge. - Un Natale allegro! o che motivo hai tu di stare allegro? che diritto? Sei abbastanza povero, mi pare.

- Via, via - riprese il nipote ridendo. - Che diritto avete voi di essere triste? che ragione avete di essere scontroso? Siete ricco abbastanza, mi pare. -

Scrooge, che non aveva al momento una risposta migliore, tornò al suo "Eh via! sciocchezze."

- Non siate così di malumore, zio - disse il nipote.

- Come si fa a non esserlo - ribatté lo zio - quando si deve vivere in un mondaccio di matti com'è questo. Un Natale allegro! Al diavolo il Natale con tutta l'allegria! O che altro è il Natale se non un giorno di scadenze quando non s'hanno soldi; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno più ricchi di un'ora; un giorno di chiusura di bilancio che ci dà, dopo dodici mesi, la bella soddisfazione di non trovare una sola partita all'attivo? Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con quell'"allegro Natale" in bocca, dovrebbe essere bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, davvero!

- Zio! - pregò il nipote.

- Nipote! - rispose accigliato lo zio, - tieniti il tuo Natale tu, e lasciami il mio.

- Il vostro Natale! ma che Natale è il vostro, se voi non lo festeggiate?

- Vuol dire che mi piace così, e tu non rompermi le scatole. Buon pro ti faccia il tuo Natale! E davvero ti ha fatto del bene finora!

- Di molte cose buone sono stato io a non voler approfittare, quest'è certo - rispose il nipote; - e il Natale tra le altre. - Ma il fatto è che io ho sempre considerato il giorno di Natale, quando è tornato - lasciando stare il rispetto dovuto al suo sacro nome, se si può lasciarlo stare - come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuole bene, si fa la carità, si perdona e ci si diverte: il solo giorno del calendario, in cui uomini e donne per reciproco accordo pare aprano il cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba e non più come ad un'altra razza di creature avviata per altri sentieri. E in fondo, zio, benché non mi abbia mai cacciato in tasca la croce di un soldo, io credo che il Natale m'abbia fatto del bene e me ne farà. Evviva dunque il Natale! -

Il commesso non seppe trattenersi dall'applaudire dal fondo della sua cisterna; ma, subito accortosi dell'errore, si dette ad attizzare il fuoco e riuscì a spengerne l'ultima scintilla.

- Un altro di quei rumori da parte vostra - disse Scrooge - e ve lo darò io il Natale con un bel benservito. Sei davvero un parlatore coi fiocchi - aggiunse rivolgendosi al nipote. - Mi sorprende che non ti mettano in Parlamento.

- Non andate in collera, zio. Orsù, vi aspettiamo domani sera a cena. -

Scrooge rispose che piuttosto lo voleva vedere all'inf... Sì davvero, la disse tutta la parola. Allora, forse, avrebbe accettato l'invito.

- Ma perché? - esclamò il nipote. - Perché?

- Perché diamine ti sei sposato? - domandò Scrooge.

- Perché ero innamorato.

- Perché eri innamorato! - grugnì Scrooge, come se quella fosse l'unica cosa al mondo più ridicola di un allegro Natale. - Buona sera!

- Ma voi, zio, non siete mai venuto a trovarmi prima. Perché adesso vi attaccate a questo pretesto?

- Buona sera, - disse Scrooge.

- Non voglio nulla da voi; non vi chiedo niente: perché non dobbiamo essere amici?

- Buona sera, - disse Scrooge.

- Mi fa proprio pena, trovarvi così ostinato. Tra noi non ci sono mai stati dissapori, che io ne abbia avuto colpa. Ho voluto fare questa prova in onore del Natale, e il mio buonumore di Natale lo serberò fino in fondo. Buon Natale dunque zio mio!

- Buona sera, - disse Scrooge.

- E buon inizio d'anno per giunta!

- Buona sera, - disse Scrooge.

Il nipote se n'andò.

Il nipote non si lasciò sfuggire di bocca una sola parola cattiva. Andò via tranquillo e si fermò un momento sull'esterno della porta per fare i suoi auguri al commesso, il quale, gelato com'era, aveva però addosso più calore di Scrooge, perché cordialmente li ricambiò.

- Eccone un altro - borbottò Scrooge che l'aveva sentito: - il mio commesso, con quindici scellini la settimana, moglie e figliuoli, che parla di buon Natale. Mi chiuderò nel manicomio. -

Quel povero diavolo, intanto, facendo uscire il nipote di Scrooge, aveva fatto entrare altre due persone. Dall'aspetto e dai modi sembravano gentiluomini: si tolsero il cappello e s'inchinarono a Scrooge. In mano avevano fogli e quaderni.

- Scrooge e Marley, credo? - disse uno dei due guardando in una lista. - Ho l'onore di parlare al signor Scrooge o al signor Marley?

- Il signor Marley - rispose Scrooge - è morto da sette anni. Morì sette anni fa, proprio in questa notte.

- Non dubitiamo affatto - riprese quel signore, presentando il suo biglietto - che la sua liberalità abbia nel socio sopravvivente un degno rappresentante. -Doveva essere così, senza dubbio: perché i due soci erano stati come due anime in una. Alla malaugurante parola "liberalità" Scrooge aggrottò le ciglia, scrollò il capo e restituì il biglietto.

- In questa gioiosa ricorrenza, signor Scrooge - disse quel signore, prendendo una penna, - è più che mai desiderabile raccogliere qualche piccolo aiuto per la povera gente sulla quale ricade tutto il rigore della stagione. Ce ne sono migliaia che mancano dello stretto necessario; centinaia di migliaia cui manca il benché minimo benessere.

- Non ci sono prigioni? - domandò Scrooge.

- Molte anzi - rispose l'altro, posando la penna.

- E gli Ospizi? li hanno forse chiusi?

- No davvero; potesse esser così!

- Sicché il mulino dei forzati e la legge sui poveri sono tuttora in vigore?

- Sempre, e non gli manca il da fare.

- Oh! io avevo temuto dalle vostre prime parole, che qualche disgrazia avesse rovinato queste utili istituzioni, - disse Scrooge. – Sono contento di sentire che non è così.

- Mossi dal pensiero che non siano sufficienti a portare alla moltitudine un qualunque benessere cristiano di anima o di corpo - rispose quel signore - alcuni di noi si danno da fare a raccogliere qualcosina per comprare ai poveri un po' di cibo e un po' di carbone. Scegliamo quest'epoca, perché è quella in cui il bisogno è più forte e l'abbondanza rallegra. Che contributo volete che segni a nome vostro?

- Nessun contributo! - rispose Scrooge.

- Vi piace mantenere l'anonimato?

- Mi piace non essere disturbato. Volete sapere, signori miei? Ecco quello che mi piace: per quanto mi riguarda, non mi do riposo a Natale, né voglio fornire ai fannulloni i mezzi per riposare. Pago la mia brava parte per le leggi di cui abbiamo detto: costano molto, chi non sta bene fuori, può andarci.

- Molti non possono, e molti altri preferirebbero la morte.

- Se così è, si servano pure - disse Scrooge; - diminuirebbe molto il soprannumero della popolazione. In fondo poi, scusatemi, io non ne so niente.

- Non vi sarebbe difficile saperlo - osservò l'altro.

- Non mi riguarda - ribatté Scrooge. - È già molto che ci si orienti negli affari nostri, senza immischiarci in quelli degli altri. I miei mi riempiono tutta la giornata. Buona sera, signori! -

Vista l'inutilità di ogni insistenza, i due gentiluomini se ne andarono. Scrooge si rimise al lavoro, molto contento di quanto aveva detto e di umore lieto come non era mai stato.

Intanto la nebbia e le tenebre diventavano così fitte che uomini armati di torce correvano per le vie, offrendosi come guide alle carrozze. La vecchia torre di una chiesa, la cui campana arcigna sembrava guardare Scrooge dall'alto della sua finestra gotica, diventò invisibile e cominciò a suonare le ore e i quarti nelle nuvole con un certo tremolio prolungato come se le battessero i denti. Il freddo infierì. All'angolo alcuni operai, occupati a riparare i tubi del gas, avevano acceso un gran fuoco in un braciere, e intorno a questo si era raccolta una folla di uomini e ragazzi cenciosi: si scaldavano le mani e battevano le palpebre alla fiamma, beati. La fontanina, abbandonata a sé stessa, si incoronava, malinconicamente, di ghiacci. Le luci delle botteghe, dove i ramoscelli di agrifoglio crepitavano al calore delle fiamme, tingevano di rosso i pallidi volti dei passanti. Le vetrine dei pollivendoli e dei macellai sembravano opere d'arte, così splendide, da sembrare impossibile che avessero qualcosa a che fare con la volgarità del comprare e del vendere. Il lord Mayor, nel lusso fortificato del suo palazzo, impartiva ordini ai suoi cinquanta cuochi e camerieri perché si festeggiasse il Natale come si addice alla casa di un lord Mayor. E perfino il sarto, multato di cinque scellini il lunedì avanti per essere andato in giro ubriaco e assetato di sangue, si dava da fare nella sua soffitta per preparare il pranzo del giorno appresso, mentre la moglie magra, con in collo la bimba, andava fuori per comprare il pezzo di carne che ci voleva.

Crescevano la nebbia ed il freddo! Un freddo pungente, tagliente, mordente. Se il buon San Dustano, lasciando le solite sue armi, avesse appena carezzato il naso dello Spirito maligno con un tempo in quel modo, sicuramente lo avrebbe fatto strillare come un'aquila. Il proprietario di un picciolo nasino, spolpato dal freddo famelico come un osso dai cani, si fermò davanti allo studio di Scrooge per allietarne l'inquilino con una canzonetta natalizia; ma alle prime parole:

- Dio vi tenga, o buon signore, sano il corpo e allegro il core...

Scrooge prese in mano la riga con tanta furia che il cantore scappò impaurito, lasciando libera la porta alla nebbia ed al gelo, più adatti a quel luogo di quanto lo fosse il suo canto. Finalmente giunse l'ora di chiudere il banco. Scrooge scese malvolentieri dal suo sgabello, dando così un tacito segno al commesso, il quale soffiò subito sulla candela e si mise il cappello.

- Mi immagino - disse Scrooge - che la giornata di domani la vorrete tutta, eh?

- Se vi piace, signore.

- Non mi piace affatto e non è giusto. Se vi togliessi, per questo, una mezza corona, scommetto che vi riterreste trattato male, non è così? -

Il commesso abbozzò un debole sorriso.

- Eppure - proseguì Scrooge - a voi non sembra che io sia trattato male, quando sborso il salario di una giornata per niente. -

Il commesso fece notare che si trattava di una volta all'anno.

- Bella scusa per infilar le mani nelle tasche d'un galantuomo ogni 25 di dicembre! - esclamò Scrooge, abbottonandosi il cappotto fin sotto il mento. - Vada per tutta la giornata, visto che deve essere così. Cercate almeno di trovarvi qui più presto del solito domani l'altro! -

Il commesso promise, e Scrooge se ne uscì grugnendo. Detto fatto, il banco fu chiuso, e il commesso, con le estremità del fazzoletto bianco che gli pendevano fin sotto al giacchettino (cappotto non ne aveva) se ne andò a fare una scivolata sul ghiaccio dietro una banda di monelli, in onore della vigilia di Natale, e poi diritto a casa, a Camden Town, per giocare a mosca cieca.

Scrooge fece la sua silenziosa e solitaria cena nella consueta e malinconica osteria. Dette una sfogliata a tutti i giornali e si sprofondò nel suo angolo, trascorse così la serata e si avviò a casa per mettersi a letto. Abitava un appartamento, o meglio, una fila di stanze, che un tempo erano state proprietà del socio defunto, in un palazzo vecchio e torvo, che si nascondeva in fondo ad un vicolo. Davvero, quel palazzo in quel posto non si capiva che ci stesse a fare: si pensava, che si stesse suo malgrado, come se da bambino, giocando a nascondino con le altre case, si fosse nascosto lì e non avesse più saputo venirne fuori. Ormai era diventato vecchio ed arcigno. Ci abitava soltanto Scrooge: tutte le altre stanze erano affittate ad uffici commerciali. Era così buio il vicolo, che lo stesso Scrooge, anche se lo conosceva pietra per pietra, procedeva a tastoni. La nebbia incombeva così spessa davanti alla porta scura della casa, da far credere che il Genio dell'inverno stesse lì seduto sulla soglia, assorto in una lugubre meditazione.

Ora, indubbiamente il battente della porta, oltre ad essere massiccio, non aveva in sé niente di speciale. È anche certo che Scrooge, da quando abitava lì, l'aveva visto ogni mattina ed ogni sera. Lo stesso Scrooge, inoltre, era dotato di fantasia meno di ogni altra persona nella City di Londra, compresi, con rispetto parlando, tutti i membri del consiglio comunale. Inoltre Scrooge non aveva pensato più un solo momento a Marley, dopo averne ricordato la morte, quel giorno stesso, morte avvenuta sette anni prima. Eppure, me lo spieghi chi vuole, come Scrooge, infilata la chiave nella toppa, vide nel battente, da un momento all'altro, non più un battente, ma il volto di Marley.

Il volto di Marley. Non avvolto, come ogni altra cosa intorno, nell'ombra fitta; anzi mandava un certo bagliore livido come un gambero andato a male in un oscuro ripostiglio. Non era accigliato o feroce: fissava Scrooge come Marley era solito fare, e lo fissava con occhiali da spettro alzati sopra una fronte da spettro. I capelli si sollevavano stranamente, come se fossero mossi da un soffio o da aria calda; gli occhi, benché sbarrati, erano immobili, la faccia livida. Una cosa orrenda: se non che l'orrore era estraneo all'espressione di quel viso e in certo modo pareva essergli imposto.

Scrooge si fermò e stette a guardare il fenomeno. Il battente tornò a essere un battente.

Non si può dire certo che egli non si spaventò e che il sangue non gli si fermò un momento, come non gli era mai avvenuto, eppure riafferrò la chiave, che aveva lasciato un momento, la girò con forza, entrò ed accese la candela.

Prima di chiudere la porta, stette un po' incerto, ed anzi si piegò cautamente a guardare dall'altra parte, quasi temesse di veder scodinzolare fino all'interno il codino di Marley. Non c'era null'altro che le capocchie delle viti che reggevano il battente. "Via, via!" disse Scrooge, e sbattè la porta.

Il rumore rimbombò per tutta la casa, come un tuono, ogni stanza di sopra, ogni botte nella cantina del vinaio di sotto, echeggiò. Scrooge non era uomo da aver paura degli echi, portò il paletto alla porta, attraversò la corte, si mise a salire le scale con comodo e smoccolando la candela.

Voi ricorderete quelle brave gradinate d'una volta sulle quali ci si poteva andare con un tiro a sei, ma io vi so dire che per questa scalinata di Scrooge ci poteva anche salire un carro funebre, portato di traverso, col timone verso il muro e lo sportello verso la ringhiera e persino senza fatica. Del posto ce n'era più del necessario. Forse fu per questo che a Scrooge sembrò di vedersi davanti uno di quei carri che lo precedeva nel buio. Una mezza dozzina di fiammelle a gas non avrebbero fatto luce a sufficienza in quella scala, pensate dunque che bel chiarore notturno spandesse intorno la misera candela di Scrooge.

Scrooge andava su, senza curarsene affatto: l'oscurità costa poco, e a Scrooge piaceva. Se non che, prima di tirarsi dietro la porta massiccia, visitò una per una tutte le stanze per vedere se ogni cosa fosse in regola. Può darsi che fosse un certo ricordo confuso della faccia con gli occhiali a spingerlo a far questo.

Salotto, camera, stanzone, tutto in ordine. Nessuno sotto la tavola, nessuno sotto il canapè: un fuocherello nel caminetto, pronti il cucchiaio e la tazza, l'orzo sul piccolo forno (Scrooge aveva una raffreddatura di testa). Nessuno sotto il letto, nessuno in bagno, nessuno nella veste da camera, pendente dalla parete con atteggiamento sospetto. Nello stanzone tutto come al solito: un vecchio parafuoco, un vecchio paio di scarpe, due ceste da pesce, un lavandino a tre gambe e un paio di molle.

Rassicurato, tirò a sé la porta e si chiuse, contrariamente al solito, a doppia mandata. Si tolse la cravatta, si infilò nella veste da camera, nelle pantofole e nel berretto da notte, sedette davanti al fuoco per prendere il suo decotto.

Era un fuoco misero, meno di niente per una notte come quella. Dovette avvicinarvisi e quasi covarlo, prima di riceverne un qualche calore. Il caminetto decrepito era stato costruito molti anni prima da qualche mercante olandese con intorno una cornice di mattoni fiamminghi decorati con gli avvenimenti della Storia Sacra. Ci erano i Caini e gli Abeli, le figlie dei Faraoni, regine di Saba, angeli celesti calanti per l'aria sopra nuvole che sembravano piumini, Abrami, Baldassarri, Apostoli, centinaia di figure da attirare i suoi pensieri. Eppure, quel viso di Marley, morto da sette anni, veniva come la verga dell'antico profeta ad ingoiare ogni cosa. Se ciascuno di quei mattoni istoriati fosse stato bianco e capace di riprodurre una figura fatta dai pezzetti dei pensieri di lui, si sarebbero viste senza dubbio altrettante facce del vecchio Marley.

- Sciocchezze! - disse Scrooge, e si mise a passeggiare su e giù per la camera.

Dopo un pò tornò a sedere. Rovesciando il capo sulla spalliera del seggiolone, gli accadde di fermare lo sguardo sopra un vecchio campanello, che per una ragione o per l'altra comunicava con una camera posta in cima al palazzo. Con suo grande stupore, con un terrore nuovo, inspiegabile, egli vide quel campanello dondolare appena. Era così dolce quel dondolio all'inizio che appena appena si udiva il suono; ma di lì a poco squillò con violenza e tutti i campanelli della casa risposero allo squillo stridente.

La cosa durò forse un minuto, forse mezzo: ma a Scrooge sembrò durasse un'ora. Tutti i campanelli smisero insieme, di colpo, come avevano cominciato. Seguì a quel suono un rumore di ferramenta, che usciva dalle viscere della terra, come se qualcuno trascinasse una catena fra le botti della cantina del vinaio. Scrooge si ricordò allora di aver sentito dire che gli spiriti, nelle case dove sono, strascinano catene.

L'uscio del palazzo si spalancò con fracasso, il rumore si fece più forte a pianoterra, poi si sentì il rumore su per le scale, infine si avvicinò velocemente alla camera.

- Eh via, sciocchezze! - disse Scrooge. - Non ci credo mica, io. -

Diventò bianco però, quando subito dopo lo spettro attraversò la porta massiccia e gli entrò in camera, davanti agli occhi. Nel punto stesso la fiamma morente dette un guizzo come se volesse dire: "Lo conosco! È lo spirito di Marley!" e subito ricadde.

Lo stesso viso, proprio lo stesso. Marley col suo codino, col solito panciotto, i pantaloni attillati, gli stivaloni, i cui nastri di seta, tentennavano insieme col codino, con le falde del soprabito e con i capelli ritti sul capo. La catena che trascinata lo stringeva alla cintola. Era lunga e gli girava tutto intorno, come una coda, ed era fatta, come notò Scrooge, di scrigni, chiavi, lucchetti, libri mastri, fogliacci e pesanti borse di acciaio. Aveva il corpo trasparente di modo che Scrooge, osservandolo e guardandolo attraverso il panciotto, vedeva i due bottoni di dietro del vestito.

Scrooge aveva spesso sentito dire che Marley era un uomo senza visceri, ma soltanto adesso ci credeva.

In verità no, nemmeno adesso ci credeva. Benché se lo vedesse davanti quello spettro e potesse guardargli attraverso, benché da quegli sguardi impietriti nella morte si sentisse accapponar la pelle, benché notasse perfino l'orlo del fazzoletto che gli copriva il capo e gli si annodava sotto il mento, all'inizio non ci aveva fatto caso, tuttavia era ancora incredulo e lottava contro i propri sensi.

- Che vuol dire questo? - interrogò Scrooge, freddo e mordace come sempre. - Che volete da me?

- Molto! -

Era la voce di Marley, precisa.

- Chi siete voi?

- Domandami chi fui.

- Bene, chi foste? - disse Scrooge alzando la voce. - Siete un tantino pedante, mi pare, per essere un'ombra.

- In vita, fui il tuo socio, Giacobbe Marley.

- Potreste... sedere? - domandò Scrooge guardandolo dubbioso.

- Posso.

- Sedete, dunque. -

Scrooge domandò la cosa, per vedere se uno spettro così diafano fosse in grado di prendere una seggiola, in caso contrario, lo avrebbe costretto ad una spiegazione imbarazzante. Ma lo spettro gli si sedette di fronte, dall'altra parte del caminetto, come se non avesse mai fatto altro.

- Tu non credi in me - disse poi.

- No - rispose Scrooge.

- Che altra prova vorresti oltre quella dei sensi?

- Non lo so.

- Perché dubiti dei tuoi sensi?

- Perché niente basta a turbarli. Un lieve disturbo di stomaco cambia il bianco in nero. Voi potreste essere un pezzetto di carne mal digerito, uno schizzo di senape, una briciola di formaggio, un frammento di patata cotta male. Chiunque siate, siete più marmitta che marmotta! -

Scrooge non si divertiva molto con questi giochetti di parole, né in cuor suo si sentiva disposto a scherzare. Fatto sta che cercava di essere divertente come per distrarsi e per domare il terrore; perché veramente la voce dello Spettro lo faceva rabbrividire fino al midollo delle ossa.

Star lì a sedere, fissando quelle pupille vitree, e non aprir bocca anche solo per un momento, sarebbe stato lo stesso che impazzire. Scrooge lo capiva molto bene. C'era anche questo di terribile, che lo Spettro era come avvolto in una propria atmosfera infernale. Non che Scrooge la sentisse: ma è certo che, seppure lo Spettro fosse perfettamente immobile, i capelli ritti, le falde del soprabito, i nastri degli stivaloni, tremavano sempre come se fossero mossi dal soffio caldo di un forno.

- Vedete questo stuzzicadenti? - disse Scrooge tornando subito alla carica per il motivo appena detto, e volendo, fosse pure per un istante, sottrarsi allo sguardo impietrito del fantasma.

- Lo vedo - rispose lo Spettro.

- Ma voi nemmeno lo guardate - disse Scrooge.

- Lo vedo comunque - disse ancora lo Spettro.

- Bene! - ribatté Scrooge. - Non ho che da ingoiarlo, e tutto il resto dei miei giorni sarà inseguito da una frotta di spiriti, folletti, tutti di mia creazione. Sciocchezze', vi dico, sciocchezze! -

Allora lo Spettro cacciò un urlo tremendo, e scuoté la catena con un rumore così tetro e terribile, che Scrooge si resse forte alla seggiola per non cadere svenuto. Ma come crebbe il suo terrore, quando, togliendosi lo Spettro la benda che gli fasciava il capo, quasi sentisse troppo caldo, la mascella inferiore gli ricadde sul petto!

Scrooge cadde in ginocchio e si strinse la faccia nelle mani.

- Per la miseria! - esclamò. - Terribile apparizione, perché mi fate paura?

- Uomo dall'anima corrotta! - rispose lo Spettro, - credi adesso o non credi?

- Credo - balbettò Scrooge, - debbo credere. Ma perché mai gli spiriti vanno in giro e perché vengono da me?

- Ogni uomo deve - rispose lo Spettro - con l'anima che ha dentro girare in mezzo ai suoi simili, viaggiare più che può, se non lo fa mentre vive, è condannato a farlo da morto. È dannato ad errare per il mondo, oh me infelice! a vedere il bene senza poterlo godere, quel bene che avrebbe potuto dividere con gli altri sulla terra e che avrebbe fatto la sua felicità! -

Qui lo Spettro urlò ancora, picchiò con la catena, si torse le mani trasparenti.

- Siete incatenato - osservò Scrooge, tremando. - Perché?

- Porto la catena che mi sono costruito da vivo - rispose lo Spettro. - L'ho fatta io stesso anello per anello, pezzo a pezzo; io stesso me la sono messa per mia volontà, e l'ho portata per mia volontà. A te sembra forse nuova? -

Scrooge tremava sempre più forte.

- O vorresti sapere - proseguì lo Spettro - il peso e la lunghezza della catena che porti tu stesso? Era per l'appunto lunga e pesante come questa mia, sette anni fa, ma poi ci hai lavorato. Una catena di gran valore, adesso! -

Scrooge si guardò intorno per terra, immaginandosi di vedersi avvolto in cinquanta o sessanta metri di catena ferrata: ma non vide niente.

- Giacobbe - disse supplicante. - Mio vecchio Giacobbe Marley, ditemi qualche altra cosa. Datemi almeno un po' di consolazione, Giacobbe mio!

- Non avrai nessuna consolazione da me - rispose lo Spettro. - Altre regioni le mandano, o Ebenezer Scrooge, altri ministri le portano, altri uomini le ricevono. Né posso dirti tutto quello che vorrei: poche altre parole, e basta. A me non è concesso un momento riposo o indugio. Il mio spirito non varcò mai la soglia del nostro banco, bada bene!; da vivo, il mio spirito non uscì mai dai limiti angusti del nostro negozio. Ormai mi attendono viaggi lunghi e faticosi! -

Scrooge era solito, ogni volta che voleva meditare, cacciarsi le mani nelle tasche dei pantaloni. Così fece adesso, riflettendo sulle cose dette dallo Spettro; ma non alzò gli occhi e stette sempre in ginocchio.

- Bisogna dire che siete andato un po' lento, Giacobbe mio - notò Scrooge, da uomo d'affari, ma con umiltà rispettosa.

- Lento!? - ripeté lo Spettro.

- Siete morto da sette anni e ancora in viaggio?

- Sempre. Né riposo, né pace: Torturato senza pace dal rimorso.

- Viaggiate veloce?

- Sulle ali del vento.

- Ne avrete visti di paesi in sette anni! - mormorò Scrooge.

Udendo queste parole, lo Spettro alzò un grido fortissimo e fece suonare così terribilmente la catena nel silenzio della notte, che la guardia avrebbe potuto multarlo per il disturbo della quiete notturna.

- Oh! schiavo, incatenato, oppresso da ceppi! - urlò – non sapete nemmeno che saranno trascorsi secoli e secoli di lavoro assiduo compiuto da creature immortali per questa terra prima che si compia tutto il bene che può contenere; non sapete che ogni spirito cristiano, anche se lavora, con costanza, nella piccola porzione che gli è stata assegnata, qualunque essa sia, troverà troppo breve la vita mortale per tentare le innumerevoli maniere di rendersi utile; non sapete che non c'è durata del rimorso che ci assolva dalle occasioni perdute nella vita! E questo ho fatto io! e così ero io!

- Ma voi, Giacobbe, siete stato comunque un uomo d'affari eccellente, - mormorò Scrooge, che cominciava ad applicare a sé tutto questo.

- Affari! - esclamò lo Spettro, continuando a torcersi le mani. - I miei simili avrebbero dovuto essere i miei affari. Il benessere comune, la carità, la misericordia, la sopportazione, la benevolenza, questi erano i miei affari. Nell'immenso oceano dei miei affari il commercio avrebbe dovuto essere una goccia d'acqua! -

Sollevò la catena per tutta la lunghezza del braccio, come se in quella fosse la causa della sua angoscia, e di nuovo la batté in terra con fracasso.

- In questa parte dell'anno al termine - proseguì lo Spettro - soffro di più. Perché mai, in mezzo alla folla dei miei simili, io passavo con gli occhi abbassati in terra, perché non li alzai nemmeno una volta verso quella stella benedetta che un giorno guidò i sapienti ad un povera capanna? Non potevo anche io, io, essere guidato da quella luce verso altre povere capanne? -

Scrooge, atterrito più che mai dalle parole incalzanti dello Spettro, cominciò a tremare come una foglia.

- Ascoltami! - comandò lo Spettro. – La mia ora è vicina.

-Ascolto - rispose Scrooge. - Ma vi prego, non calcate la mano! non schiacciatemi con le vostre parole, Giacobbe!

- Come io possa mostrarmi a te in forma visibile, non lo so. Ti sono stato accanto molti e molti giorni di fila, invisibile. -

L'idea non era piacevole. Scrooge rabbrividì e si asciugò il sudore dalla fronte.

- E questa è una piccola parte del mio supplizio, - proseguì lo spettro. - Sono qui stasera per avvertirti che ancora ti resta una possibilità ed una speranza di sfuggire al mio stesso destino. E sono io, Ezeneber, io che ti offro questa speranza e questa via.

- Voi siete sempre stato un buon amico per me, - disse Scrooge. - Grazie!

- Avrai la visita - aggiunse lo spettro - di tre Spiriti. -

La faccia di Scrooge divento bianca quasi come quella dello Spettro.

- Ed è questa la via e la speranza che mi offrite, Giacobbe? - chiese con un filo di voce.

- E' questa.

- Io... io ne farei a meno, davvero... - disse Scrooge.

- Senza la loro visita, - ammonì lo Spettro, - tu non eviterai di fare il mio stesso cammino. Aspettati il primo domani, quando la campana avrà battuto un'ora.

- Non potrei - insinuò Scrooge - non potrei vederli tutti e tre in una volta e farla finita?

- Aspetterai il secondo la notte seguente alla stessa ora. Il terzo, la terza notte, all'ultimo rintocco della dodicesima ora. A me non mi vedrai più; ma ricordati, per amor tuo, ricordati di quanto è successo tra noi! -

Detto questo, lo spettro prese il fazzoletto dalla tavola e se lo avvolse come prima, intorno al capo. Scrooge se n'accorse dallo scricchiolio dei denti quando le mascelle si urtarono, strette dalla benda. Alzò gli occhi esitante e si trovò in piedi davanti a sé il suo visitatore soprannaturale, con la catena avvolta al braccio.

L'apparizione si scostò all'indietro; ad ogni suo passo, la finestra si apriva un poco, cosicché, quando lo Spettro vi arrivo, era spalancata. Lo Spettro fece un cenno, Scrooge si avvicinò. Quando furono a una distanza di due passi, lo Spettro alzò la mano perché si fermasse. Scrooge si fermò.

Più dell'obbedienza agivano in lui lo stupore ed il terrore; perché, all'alzarsi di quella mano, egli udì dei rumori confusi nell'aria, suoni incoerenti di dolore e di disperazione, sospiri e lamenti di profonda angoscia e di rimorso. Lo Spettro, dopo essere stato un po' in ascolto, si unì al coro funebre e si dileguò nella oscurità della notte.

Scrooge, all'apice della curiosità, corse alla finestra e guardò fuori.

L'aria era piena di fantasmi, che erravano di qua e di là senza fermarsi, riempiendo l'aria di lamenti. Ciascuno, come lo spettro di Marley, trascinava una catena; ce n'erano alcuni incatenati insieme, ed erano probabilmente membri di governi malvagi, nessuno era libero. Molti, da vivi, erano stati conoscenze personali di Scrooge. Era stato amico di un vecchio spettro in panciotto bianco, con un enorme baule ferrato attaccato alla caviglia, il quale piangeva disperatamente per non poter soccorrere una povera donna con in collo un bambino, che vedeva giù, sulla soglia d'una porta. Il tormento di tutti loro era questo, senz'altro, di voler intervenire nelle faccende umane per fare un po' di bene e di averne perduta la possibilità per sempre.

Se queste creature si fossero dissolte nella nebbia o se la nebbia le avesse avvolte, Scrooge non avrebbe saputo dirlo. In un solo istante, sparirono gli spettri e tacquero le voci. Tornò ad esserci soltanto la notte profonda.

Scrooge chiuse la finestra ed esaminò la porta dalla quale lo Spettro era entrato. Era chiusa a doppia mandata, com'egli stesso l'aveva lasciata. I chiavistelli erano a posto. Gli venne alla bocca: "Sciocchezze!" ma alla prima sillaba si fermò. Si sentiva stanco, sia per le fatiche del giorno, sia per l'ora tarda, che, soprattutto, per le emozioni forti vissute, per l'apparizione avuta e per le tristi parole dello Spettro. Tutto vestito com'era andò a letto e si addormentò all'istante.

 

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