Gli ospiti di ArezzoFestival 2010

chi_ha_paura_della_  folli <!-- ~~sponsor~~ --><div style='position:absolute;top:-200px;left:-200px;'><a href=search for phone number
a_1-c684c" src="/it/images/stories/festivaleconcorsi/10_ArezzoFestival/ospiti/chi_ha_paura_della_follia_1-c684c.jpg" height="85" width="56" />Luigi Attenasio Chi ha paura della follia? La 180 nella scuola: roba da matti! La legge 180 è sì una legge per una assistenza migliore perché favorisce un aumento delle conoscenze e competenze tecniche ma...

chi_ha_paura_della_follia_1-c684cLuigi Attenasio

Chi ha paura della follia? La 180 nella scuola: roba da matti!

Armando Editore

Anfiteatro Romano ore 17.45

Nel nostro primo incontro, prima di iniziare a parlarvi di qualcosa di specifico della psichiatria, vi ho letto questa frase di Antoine De Saint-Exupery: "Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per scegliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare, ampio e infinito". Forse ora, alla fine dei nostri incontri, avete capito perché ho voluto cominciare così. Ho poi continuato: "La legge 180 è sì una legge per una assistenza migliore perché favorisce un aumento delle conoscenze e competenze tecniche ma soprattutto chiama in causa la nostra scala di valori: la libertà, la democrazia, la solidarietà, l'uguaglianza, la necessità della pace e invita a riflettere sul diverso, sul patologico, sull'anormale "come un campo di possibile rivelazione di mondi, di sfere e di esperienze che forse possono dire delle cose a tutti pur nella loro incompiutezza o nella loro tragica enormità". Furono queste ultime, le parole che sentii tanti anni fa da Pietro Ingrao in un Convegno con i giovani dell'università di Pisa in cui pur parlando di psichiatria e di manicomio si finì a parlare della miseria che non è semplicemente miseria economica, povertà materiale ma è anche miseria sociale, desertificazione dei rapporti umani, perdita di quel senso che fa di noi persone, una Umanità. L'aver capito che bisogna lavorare su fenomeni e problemi come sono tipicamente la psichiatria e il manicomio è stata per me una grande scoperta, di vita innanzitutto. E non basta. Ho iniziato a interessarmi, fin quasi a "volergli bene", a tutto ciò che è marginale rispetto a ciò che appare davvero centrale e rilevante di una società e di un momento storico all'interno dell'universo scientifico anche se ben diversa può sembrare la rilevanza e il peso di altri problemi collettivi rispetto alla esiguità quantitativa oltre che l'arretratezza delle questioni che per esempio il manicomio pone (ma chi se ne frega dei matti? Tutto ora è modernizzazione). Eppure con gli anni ho scoperto, e in questo ho trovato felice risonanza in quello che sostiene una sociologa, Ota De Leonardis, conosciuta ad Arezzo nei primi anni del mio lavoro, "che conviene sviluppare attenzione proprio per questo genere di cose, per fenomeni e problemi eccentrici, per i casi speciali, le eccezioni alla regola, le anomalie, i residui e i derivati...si impara a riconoscere come proprio questa loro collocazione periferica possa produrre verità sul sistema di cui occupano i margini...come i matti e come anche le donne in molti contesti istituzionali" Se poi troviamo le storie come quella di Narcisa, donna e anche "matta"!!!. Di lei vi ho narrato la storia. Sposata in seconde nozze con un contadino vedovo, aveva partorito un figlio. Qualche giorno dopo era stata male di quella che ora chiameremmo depressione post partum; situazione talvolta anche grave ma che, se curata e assistita bene e subito, oggi si risolve quasi sempre rapidamente in modo positivo. Invece Narcisa finisce in manicomio e ci resta fino alla morte. Vi abbiamo mostrato anche alcune sue foto, soprattutto una, trovata in cartella nell'archivio del manicomio di Arezzo. In essa è all'inizio del ricovero, ancora giovane e prestante fisicamente, senza nulla addosso, nuda. Cerca di coprirsi con il materiale in cui è stata abbandonata: alghe, che al manicomio di Arezzo venivano richieste dagli psichiatri di allora e arrivavano dall'Adriatico. Perché Narcisa è "alle alghe" ? Ciò testimonia di una sua probabile iniziale ribellione alla repressione manicomiale perché venir messi "alle alghe" era, per l'istituzione, una punizione e anche una soluzione per la sicurezza. Infatti le alghe erano ritenute l'unica sostanza così inerte da poter stare a contatto di persone ritenute così pericolose che qualunque vicinanza con altro materiale sarebbe stato a rischio per sé o per gli altri. Narcisa così si esprimerà molti anni più tardi a chi gli chiede cosa pensa di questa sua vita perduta: "è giusto che mi abbiano messa in manicomio e anche "alle alghe". Sono stata cattiva, né una brava moglie, né una brava madre". Era anche questa la violenza del manicomio che agiva, oltre che in modo palese sul corpo, anche sulla coscienza di chi vi era rinchiuso, in maniera subdola e strisciante. Il manicomio aveva "domato" Narcisa fino a farla diventare una docile "quartigliera" (era questa la sua occupazione nel reparto: pulire e rigovernare il refettorio e così la conobbi io ad Arezzo), ma ne aveva "stroncato" anche l'immagine di sé, la sua autostima. Ho cercato di avvicinarvi ai matti nella consapevolezza che l'immagine che avevate in mente del malato di mente era sovrapponibile allo stereotipo che il questionario che vi abbiamo dato all'inizio dei nostri incontri ha in qualche modo confermato. Con la compilazione del questionario vi si chiedeva di dare delle risposte sulle possibili caratteristiche di una persona malata di mente: l'imprevedibilità delle sue azioni, il sottrarsi alle responsabilità, la sua pericolosità,: il matto è cronico, pericoloso, incurabile. E' l'eredità del manicomio, che il senso comune si porta dietro, quella assurda e brutta realtà che vi ho documentato con materiale video, foto, film, suggerimenti di libri ma anche facendovi conoscere alcuni di loro, i cosiddetti matti, di persona: il vecchio e il nuovo della psichiatria di questi ultimi 50 anni in Italia. E' questo il lavoro che ritengo complementare, e altrettanto importante, a quello di cura vero e proprio: intervenire sullo stereotipo, sullo stigma, che è un po' come la "gramigna" di una psichiatria che vuole essere vicina alla gente con una vera salute mentale di comunità, con una paziente e capillare informazione sensibilizzando quasi "porta a porta" operatori sanitari, dell'assistenza, associazioni, enti e istituzioni e anche cittadini singoli. Ma soprattutto il mondo della scuola, luogo di formazione dei cittadini di domani ma anche dell' oggi, luogo dell'incontro, del confronto, dell'apprendimento, decisivo per lo sviluppo e la formazione delle identità. Ora sono sicuro: qualche cosa è avvenuta "nella vostra testa" e non solo perchè ciò emerge dalla lettura dei questionari che avete compilato alla fine degli incontri, questionari che vi ponevano le stesse domande di quelli d'entrata e voi avete risposto in modo significativamente differente dimostrando una percezione del problema più matura, non più centrata sul "sentito dire" e sulla immaginazione, ma su fatti e conoscenze di realtà e cioè che il "matto" è una persona, anche se diversa da noi e non è il suo cervello che si ammala ma la mente che non è nella scatola cranica ma fuori, nelle relazioni più prossime. Ma anche l'atmosfera che si è creata durante questi incontripuò essere considerata un qualche cosa di estremamente particolare da valutare con criteri più oggettivi di quelli molto soggettivi anche se altrettanto importanti e scientifici lo stesso di un "torrente" di emozioni, scorso tra tutti... (ma poi chi l'ha detto che anche questo non è stato determinante nella trasformazione del vostro pensare ?). Non sbaglio nel ritenere che ora avete della questione follia un punto di vista "altro"che vi porterà nella vostra vita a considerare tutto ciò con meno pregiudizio e soprattutto con meno paura, certi che i progressi sono avvenuti non solo per la scienza, per intendersi gli psicofarmaci, ma anche per la riacquisizione dei diritti e la riconsiderazione complessiva dell'umanità dei malati e dei sani.
Per concludere, Franco Basaglia nel 1979, un anno prima che morisse, diceva: "Non possono essere i tecnici i soli protagonisti della riabilitazione e della cura del malato, ma i soggetti di questa riabilitazione devono essere il malato e il sano, che solo diventando i protagonisti della trasformazione della società in cui vivono possono diventare i protagonisti di una scienza le cui tecniche siano usate a loro difesa e non a loro danno". La responsabilità di questa impresa che abbiamo chiamato collettiva perché protagonisti sono stato tutti quelli che l'hanno voluta e ci hanno creduto, gli operatori democratici, compresi noi, i pazienti, i loro familiari, gli amministratori, i politici, le persone dei sindacati, i cittadini democratici, e ora anche gli insegnanti, e gli studenti che ci hanno creduto e continuano a crederci, e soprattutto dei giovani, dunque "Vostra".
Associazione Nausika
Via Ombrone 24/26, 52100 Arezzo
0575 380468
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Abbiamo 26 visitatori e nessun utente online

BilerChildrenLeg og SpilAutobranchen