Giampaolo Simi

Ai corsi di scrittura mi porto spesso dietro un perfido libriccino di Fabio Mauri con una gustosa introduzione di Umberto Eco. Si intitola “I 21 modi per non pubblicare un libro” e lo estraggo non appena mi viene formulata la consueta domanda: “come si fa a pubblicare con un grande editore, o perlomeno con un editore serio?”. Non pensiate che io sia crudele. Crudele è chi illude consapevolmente i propri simili. Me lo porto dietro perché in quel libriccino c'è scritto anche come si fa a pubblicare. Che è poi la ragione di un'esperienza come quella della Scuola di Narrazioni Arturo Bandini...

Intervista a Giampaolo Simi

Ai corsi di scrittura mi porto spesso dietro un perfido libriccino di Fabio Mauri con una gustosa introduzione di Umberto Eco. Si intitola “I 21 modi per non pubblicare un libro” e lo estraggo non appena mi viene formulata la consueta domanda: “come si fa a pubblicare con un grande editore, o perlomeno con un editore serio?”

Non pensiate che io sia crudele. Crudele è chi illude consapevolmente i propri simili. Me lo porto dietro perché in quel libriccino c'è scritto anche come si fa a pubblicare. Che è poi la ragione di un'esperienza come quella della Scuola di Narrazioni Arturo Bandini.

C'è scritto infatti che pubblicare è un'attività sociale. Significa cioè entrare con pazienza in un mondo di relazioni. Il che, mi rendo conto, si presta anche a distorsioni negative. Ma nella sua accezione virtuosa equivale a scambio, contaminazione, discussione, confronto. Ecco, anche scrivere, o meglio  narrare, che poi del pubblicare è il presupposto, è un'attività sociale. Non lasciamoci ingannare dal fatto che per scivere bisogna trascorrere molte ore in solitudine. Quella solitudine sarebbe sterile, se non elaborasse materiali che vengono dal “mondo fuori” per restituirli al “mondo fuori” reinterpretati in maniera personale e inedita.

Una classe di scrittura è un piccolo nucleo sociale in cui si rende conto, lavorando parecchio e divertendosi altrettanto, di quanto questo scambio ci migliora. Di quanto ascoltare gli altri ci può ispirare, di come accendiamo l'immaginazione di qualcuno con una piccola frase che magari avevamo sottovalutato.

La Scuola Arturo Bandini mi hanno già dato varie volte la possibilità di lavorare così. Senza vendere illusioni o sedermi in cattedra a elargire formule magiche per una attività, quella di scrittore, che è bellissima e multiforme, ma faticosa e imprevedibile. L'obiettivo è orientare ogni partecipante verso un percorso di scrittura che può essere del tutto personale o professionale, bellissimo e multiforme, ma anche faticoso e imprevedibile.

Ad Arezzo ho sempre trovato gruppi molto eterogenei per età, letture, aspirazioni. Gruppi che si sono infoltiti, anno dopo anno, grazie al lavoro tenace di Federico Batini e degli altri di Nausika. Gruppi di persone curiose, prive di preconcetti, disponibili a mettersi in gioco. Il gioco. Il gioco è un'altra parola che non dovremmo perdere mai di vista. Ogni gioco ha le sue regole, le sue tecniche, i suoi trucchetti e i suoi principi di fondo. Alcuni banali, alcuni meno. E questi sì, si possono insegnare. Uno ve lo racconto subito, perché viene proprio da un gioco, ma secondo me è importante anche nella scrittura. Me l'ha insegnato un allenatore di calcio. “Un campione,” disse una volta, “è quello che fa sempre bene le cose semplici.” Chiaro, no? Facile? Per niente.

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